Un saggio di Isaac Asimov sulla creatività, tratto dal giornale di rassegna tecnologica del Massachusetts Institute of Technology (MIT). Il testo originale e la presentazione scritta del suo amico Arthur Obermayer, ricercatore del MIT, si trova in questo sito – tutto in inglese, naturalmente.
Sulla creatività
Come si fa ad avere nuove idee?
Presumibilmente, il processo che porta alla creatività, qualunque esso sia, è essenzialmente lo stesso in tutte le circostanze, cosicché l’evoluzione di una nuova forma d’arte, di un nuovo accessorio, di un nuovo principio scientifico, coinvolge fattori comuni. Siamo più interessati alla “creazione” di un nuovo principio scientifico o a una nuova applicazione di un principio precedente, ma fino a questo punto del discorso possiamo tenerci sul generico.
Un modo per indagare il problema è quello di considerare le grandi idee del passato e vedere come sono state generate. Purtroppo il metodo di generazione non è mai chiaro nemmeno ai “generatori” stessi.
Ma cosa succederebbe se la stessa idea rivoluzionaria si presentasse a due uomini, contemporaneamente e indipendentemente? Forse individuare i fattori a comune potrebbe essere illuminante. Consideriamo la teoria dell’evoluzione per selezione naturale, creata in modo indipendente da Charles Darwin e Alfred Wallace.
C’è molto in comune tra i due. Entrambi hanno viaggiato in luoghi lontani, osservando strane specie di piante e animali e il modo in cui variavano da un luogo all’altro. Entrambi erano molto interessati a trovare una spiegazione di questo, ed entrambi non sono riusciti a trovare una spiegazione fino a quando ciascuno di loro non ha letto il Saggio sul principio di popolazione di Malthus.
Entrambi videro allora come la nozione di sovrappopolazione e la sua restrizione (che Malthus aveva applicato agli esseri umani) si sarebbe potuta inserire nella dottrina dell’evoluzione per selezione naturale (se applicata alle specie in generale).
A questo punto, è ovvio che quel che serve non sono solo persone con una buona preparazione in un particolare campo, ma anche persone capaci di fare una connessione tra il punto 1 ed il punto 2, che di solito non sono considerati collegati.
Senza dubbio, molti naturalisti avevano studiato il modo in cui le specie si differenziavano tra loro nella prima metà del XIX secolo. Moltissimi avevano letto Malthus. Forse alcuni avevano studiato le specie e avevano letto Malthus. Ma ciò che serviva era qualcuno che studiasse le specie, che leggesse Malthus e che avesse la capacità di fare un collegamento tra i due aspetti.
Questo è il punto cruciale, ed è la rara caratteristica che va messa a fuoco. Una volta fatto il collegamento, tutto diventa ovvio. Thomas H. Huxley avrebbe dovuto esclamare, dopo aver letto L’origine delle specie, “Che stupido a non averci pensato io!”.
Ma perché non ci ha pensato? La storia del pensiero umano mostra quanto sia difficile concepire a un’idea, anche quando tutti i fatti sono stati squadernati. Fare il collegamento richiede una certa audacia. Deve essere così, perché ogni collegamento che non richiede audacia vien fatto da molti e non si sviluppa come “nuova idea”, ma come mero “corollario di una vecchia idea”.
È solo dopo, che una nuova idea sembra ragionevole. All’inizio, di solito sembra irragionevole. Sembra il massimo dell’irragionevolezza supporre che la terra sia rotonda invece che piatta, o che si muova al posto del sole, o che gli oggetti richiedano una forza per fermarli quando sono in movimento, invece di una forza per tenerli in movimento, e così via.
Una persona disposta a sorvolare sulla ragione, sull’autorità e sul buon senso deve essere una persona con una notevole sicurezza in sé stessa. Poiché tali caratteristiche si presentano solo raramente, deve sembrare eccentrica – almeno sotto questo aspetto – al resto della gente. Una persona eccentrica sotto un aspetto è spesso eccentrica anche sotto altri aspetti.
Di conseguenza, la persona che ha più probabilità di avere nuove idee è una persona con una buona preparazione nel campo d’interesse ed una persona non convenzionale nelle sue abitudini. (Essere un po’ “suonati”, tuttavia, non basta).
Una volta che hai il tipo di persone che vuoi, la prossima domanda è: le riunisci in modo che possano discutere il problema tra di loro, oppure devi informarle tutte per poi lasciarle lavorare in pace?
La mia sensazione è che, per quel che riguarda la creatività, star da soli sia necessario. La persona creativa, in ogni modo, lavora continuamente. La sua mente rimescola in ogni momento le informazioni disponibili, anche quando non ne è cosciente. (È noto il famoso esempio di Kekulé che elabora la struttura del benzene nel sonno).
La presenza di altre persone non può che inibire questo processo, poiché la creazione è imbarazzante. Per ogni nuova buona idea che si ha, ce ne sono cento – o diecimila – che sono stupide, e che naturalmente non ci si cura di mostrare.
Tuttavia, un incontro di queste persone potrebbe essere auspicabile per ragioni diverse dall’atto creativo.
Non ci sono due persone che duplicano esattamente le riserve mentali dell’altro. Una persona può conoscere A e non B, un’altra può conoscere B e non A e, conoscendo A e B, entrambe possono avere l’idea, anche se non necessariamente in una sola volta – o neppure presto.
Inoltre, le informazioni possono non riguardare solo singoli elementi, diciamo A e B, ma anche combinazioni come A-B, che di per sé non sarebbero significative. Tuttavia, se una persona menziona la combinazione insolita A-B ed un’altra la combinazione insolita A-C, può benissimo essere che la combinazione A-B-C, a cui nessuno dei due ha pensato separatamente, possa offrire la risposta cercata.
Mi sembra quindi che lo scopo delle sedute di “brain-storming” non sia inventare nuove idee, ma piuttosto quello di educare i partecipanti ai fatti e alle combinazioni di fatti, alle teorie, ai pensieri vagabondi.
Ora, come convincere i creativi a farlo? Prima di tutto, ci dovrebbe essere rilassamento, facilità, un senso generale di permissività. Il mondo in genere disapprova la creatività, ed essere creativi in pubblico è visto con particolare disapprovazione. Anche speculare in pubblico è considerato piuttosto preoccupante. Gli individui devono quindi aver la sensazione che gli altri non si opporranno.
Se anche un singolo partecipante non sopporta di sentire le sciocchezze, che dovrebbero essere tollerate in una simile sessione di lavoro, tutti gli altri si bloccheranno. Tale partecipante potrebbe anche essere una miniera d’oro di informazioni per gli altri, ma il danno che farà sarà maggiore. Mi sembra necessario, quindi, che tutte le persone che partecipano a una sessione del genere non abbiano il timore di sembrare sciocche, o di ascoltare gli altri mentre sembrano sciocchi.
Se un singolo individuo presente ha una reputazione molto più grande degli altri, o parla meglio, o ha una personalità decisamente più autorevole, può facilmente prendere in mano la sessione riducendo il resto del gruppo in condizioni di obbedienza passiva. Magari l’individuo in sé è estremamente utile, ma potrebbe utilmente essere messo al lavoro da solo, semplicemente perché sta neutralizzando gli altri.
Il numero ottimale del gruppo non sarebbe probabilmente molto alto. Immagino che non se ne vogliano più di cinque. Un gruppo più numeroso potrebbe avere una maggiore quantità totale di informazioni, ma ci sarebbe grande tensione nell’aspettare il proprio turno di parlare, cosa che può essere molto frustrante. Probabilmente sarebbe meglio avere un certo numero di sessioni in cui i partecipanti variano, piuttosto che una sola sessione che pretenda di includerle tutte. (Questo comporterebbe una qualche ripetizione, ma la ripetizione di per sé non è indesiderabile. Non è quello che la gente dice in queste conferenze che importa davvero, ma quello che gli uni ispirano agli altri durante e dopo la discussione).
Per i migliori risultati, ci dovrebbe essere un senso di informalità. La giovialità, l’uso di nomi di battesimo, lo scherzo, il parlare rilassato sono, credo, parte dell’essenza – non in quanto tali, ma perché incoraggiano il desiderio di essere coinvolti nella follia della creatività. A questo scopo, penso che un incontro a casa di qualcuno o a tavola, magari al ristorante, potrebbe forse essere più utile di uno in sala conferenze.
Probabilmente, più inibente di qualsiasi altra cosa è il senso di responsabilità. Le grandi idee della storia sono venute da persone che non sono state retribuite per averla, ma erano invece pagate per fare gli insegnanti o gli impiegati in un ufficio brevetti o i sottufficiali – o che non erano pagate affatto. Le grandi idee son venute per questioni secondarie.
Sentirsi in colpa di non essersi guadagnato lo stipendio ricevuto, siccome non si è avuta una singola grande idea, mi sembra sia il modo più sicuro per assicurarsi che anche la prossima volta non arriverà alcuna grande idea.
Eppure, l’azienda sta conducendo questo programma di “brain-storming” con i soldi del governo. Pensare ai membri del Congresso (o al pubblico in generale) che sente parlare di scienziati che si divertono, che “cazzeggiano”, che raccontano barzellette sporche, magari a spese del governo, fa sudare freddo. Ma a ben pensare, lo scienziato medio ha abbastanza coscienza pubblica da non voler far sapere agli altri che lo sta facendo, anche se nessuno lo scopre.
Suggerirei di dare ai membri di una sessione di “brain-storming” il compito di scrivere rapporti sommari, o riassunti delle loro conclusioni, o brevi risposte ai problemi suggeriti, e di pagarli per questo, considerando questo il compenso che normalmente andrebbe corrisposto per una sessione del genere. La seduta in sé non verrebbe ufficialmente pagata; anche questo consentirebbe un notevole rilassamento.
Non credo che le sedute di “brain-storming” possano essere lasciate senza guida. Ci dovrebbe essere un responsabile che svolga un ruolo equivalente a quello di uno psicoanalista. Uno psicoanalista, per capirci, che ponga le domande giuste (e a parte questo interferisce il meno possibile) fa sì che sia il paziente stesso a discutere della sua vita passata, in modo tale da suscitare ai suoi occhi una nuova comprensione.
Allo stesso modo, un arbitro della sessione dovrà sedersi lì, “pungolare le bestie”, porre una domanda oculata, fare il commento necessario, riportarli delicatamente al punto. Poiché l’arbitro non saprà quale domanda è appropriata, quale commento è necessario, e qual è il punto, il suo non sarà un lavoro facile.
Per quanto riguarda i metodi che dovrebbero suscitare la creatività, penso che questi possano nascere proprio durante le sessioni. Se i partecipanti sono completamente rilassati, liberi da responsabilità, mentre discutono qualcosa di interessante (anche a causa dei loro caratteri non convenzionali) saranno loro stessi a inventare nuovi trucchi per stimolare la discussione.
PS Ho evidenziato alcune frasi significative – ma nell’originale questo non c’era.
Ho usato il termine “brain-storming” – siccome è quello corrente in italiano – mentre Asimov usa invece il termine “cerebration session”. Questo è molto divertente, siccome si basa sulla parola latina “cerebrum” (usata anche in inglese) ma ha una forte assonanza con “celebration session” – uno scherzo, insomma.
Per contestualizzare meglio la discussione, va ricordato che l’idea del brain-storming fu introdotta da Alex Faickney Osborn nel 1938, e venne dallo stesso descritta in una serie di libri. Una breve descrizione del metodo che proponeva è qua. Tale metodo ha ricevuto numerose critiche, p.e. questa, ma vedi anche qui. Nel 1959, immagino risultasse all’ultima moda!
L’impressione è che Asimov – interpellato su come stimolare la creatività nella scienza – non voleva mettersi in urto con l’opinione corrente, ma insisteva sul ruolo del singolo individuo nel processo creativo e sulle numerose condizioni perché una sessione di brain-storming abbia qualche chance di funzionare davvero.
Il ink originale a questa traduzione, che ho copiato per praticità è stato pubblicato su linkedIn da Francesco Vissani, PhD
Laboratori Nazionali del Gran Sasso at INFN. Ecco il link →